Gratitudine
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La parola gratitudine viene dal latino gratitudo, sostantivo a sua volta derivato dall’aggettivo gratus. L’etimologia di gratus pare sia incerta, ma secondo alcuni deriverebbe dalla radice protoindoeuropea gwere, che indicava la sfera semantica del favorire.

La gratitudine è pertanto il sentimento che proviamo quando ci sentiamo in qualche modo favoriti.

La gratitudine è un sentimento positivo, che in genere accompagna chi ha ricevuto un favore, un regalo, un riconoscimento.

Qualcosa “quindi” di tangibile, che sottolinea la qualità della relazione con un’altra persona, ma può anche essere un sentimento legato all’Universo, al tempo meteorologico, alle congiunture astrali.

Qualunque evento può essere legato alla gratitudine, tanto da diventare un vero e proprio “esercizio” che rientra a pieno titolo nella pratica della cosiddetta “psicologia positiva”, che cerca di valorizzazione gli aspetti migliori dell’esistenza individuale e collettiva.

La gratitudine, infatti, è un sentimento sociale che rafforza i legami mentre fa stare bene l’individuo.

I benefici di questa pratica (ampiamente studiata anche in ambito medico e sanitario) non sono solo psicologici (aumento di emozioni positive, ottimismo e felicità) e sociali (diminuzione di senso di isolamento), ma anche fisici, come abbassamento della pressione e rafforzamento del sistema immunitario.

Insomma, esercitare consapevolmente la gratitudine aiuta a concentrarsi sul presente, allontanando pensieri ed emozioni negativi.

Questa conoscenza sapienziale era nota ai nostri antenati, che – pur avendo in apparenza minori conoscenze tecnologiche – attribuivano tanta importanza al mondo attorno a loro, alla Natura e tutto ciò che poteva rendere le loro giornate più lievi e più piacevoli.

I popoli antichi non hanno mai dimenticato di ringraziare l’universo, la terra, la Natura, pachamama o quello che sentivano di chiamare colui o colei che consentiva loro di nutrirsi, ripararsi, pregare e stare insieme ai propri simili.

fonte: CSUN today

Che il sole ti porti
nuova energia ogni giorno,
che possa la luna
ristorarti dolcemente la notte,
possa la pioggia
lavare le tue preoccupazioni,
e la brezza portare
una ventata di aria fresca
nel tuo essere,
e che tu possa
camminare dolcemente
attraverso il mondo
e conoscere la sua bellezza
tutti i giorni!

(Preghiera Navajo)


Si tratta di uno slittamento culturale interessante e molto sottile: ci lamentiamo che piove sempre? Ebbene, lamentarci può cambiare davvero l’aumento o la diminuzione della pioggia? No, lo sappiamo tutti. Ciò che si può cambiare è il nostro atteggiamento nei confronti della pioggia.

Questo atteggiamento di “gratitudine” si può traslare ed applicare a qualunque evento: quando ci concentriamo su eventi sfortunati, per esempio, potremmo provare a considerarli solo per quello che sono: eventi.

Non è semplice, per noi esseri umani cambiare questo paradigma perché viviamo in un mondo molto concentrato sul piano “materiale”, sulla stimolazione di desideri e – si sa – dalla mancata soddisfazione di un desiderio deriva sofferenza.

Schopenhauer sosteneva che l’uomo è desiderio e che è proprio quest’ultimo causa di sofferenza perchè la sua soddisfazione è illusoria e transitoria.

Ad ogni desiderio ne sostituiremo un altro e così via.

Ogni volere scaturisce da bisogno, ossia da mancanza, ossia da sofferenza. A questa da fine l’appagamento; tuttavia per un desiderio che venga appagato, ne rimangono almeno dieci insoddisfatti;
inoltre la brama dura a lungo, le esigenze vanno all’infinito; l’appagamento è breve e misurato con mano avara.
Anzi, la stessa soddisfazione finale è solo apparente: il desiderio appagato dà tosto luogo a un desiderio nuovo: quello è un errore riconosciuto, questo è un errore non conosciuto ancora.
Nessun oggetto del volere, una volta conseguito, può dare appagamento durevole… bensì rassomiglia soltanto all’elemosina, la quale gettata al mendico prolunga oggi la sua vita per continuare domani il suo tormento.

Arthur Schopenhauer

La nostra società è una società tecnologica, veloce, in continua espansione. Una società che spinge alla competizione, all’avidità, al consumo. Una società che ci spinge a provare sempre più desideri e a cercare sempre più di realizzarli, acquistando, con essi, un po’ di “felicità”.

Chi riesce a non soccombere a tale lusinga si sente appagato e contento e realizza che sta andando in una direzione diversa da quella che vorrebbe la nostra “civiltà”.

Il Buddha sosteneva che la nobile verità non era la cessazione della sofferenza, ma del desiderio. Quel desiderio spasmodico che ci rende difficile la pratica della gratitudine e della gioia.

Tiziano Terzani, giornalista e scrittore, ha espresso, durante una delle sue ultime interviste, parole che sono un vero invito a fare del sentirsi contenti uno stile di vita.

Monologo sulla felicità di Tiziano Terzani

Foto di copertina Snapwire
Foto di una giovane ballerina della celebrazione del powwow annuale. Foto per gentile concessione di Scott Andrews. Fonte https://csunshinetoday.csun.edu/arts-and-culture/csun-to-celebrate-native-american-culture-at-annual-powwow/

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