la gentilezza alla cassa del supermarket
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Ma per gentilezza! mi verrebbe da dire.

Sono al supermercato. Poso i pochi prodotti che devo acquistare sul nastro della cassa. Davanti a me un signore di circa settant’anni ha fatto lo stesso.

Una signora davanti a lui si volta nel momento in cui sta per pagare la propria spesa e gli domanda se per caso lui avesse la tessera del supermercato.

Panico: il signore si gira verso di me e mi domanda: “la tessera? Perché?”.

Gli rispondo che forse la signora non ce l’ha e ha bisogno di avere uno sconto riservato ai soci.

Lui sposta lo sguardo da me alla cassiera in cerca di aiuto e domanda: “perché dovrei?”.

La cliente davanti a lui, a quel punto, lo rassicura dicendo che voleva solo essere gentile, offrirgli la possibilità di accumulare dei punti nella sua tessera, essendone lei sprovvista.

La gentilezza quando arriva gratuitamente e soprattutto da qualcuno che ci è estraneo, tende a generare diffidenza, sospetto, ostilità.

Per gran parte della storia occidentale la gentilezza è stata legata alla cristianità, che considerava sacri gli istinti generosi delle persone e li poneva alla base di una fede universalistica.

Per secoli la carità cristiana ha fatto da collante culturale, cercando di unire gli individui della società, proprio perché membri di una comunità religiosa.

Dal cinquecento in poi il comandamento cristiano

ha subìto la concorrenza dell’individualismo.

Frontespizio del libro Leviatano di Thomas Hobbes; incisione di Abraham Bosse

Il Leviatano (1651) di Thomas Hobbes considera la generosità cristiana psicologicamente assurda. “Gli uomini” – sostiene Hobbes – “sono delle bestie egoiste che pensano solo al loro benessere: l’esistenza è una “guerra di tutti contro tutti”.

Mentre sono in coda al supermercato, di fronte all’allarme e alla confusione del signore in coda davanti a me, penso che oggi il rischio è che noi diventiamo tutti sostenitori di Hobbes.

Ma siamo davvero tutti mossi dal solo interesse personale? Davvero la gentilezza ispira diffidenza e le dimostrazioni pubbliche di generosità vengono liquidate come moralistiche e sentimentali?

Davvero gli atti di gentilezza, solo per il fatto di essere “pubblici”, vengono immediatamente etichettati come “ipocriti”?

La gentilezza genera sospetto ed Il sospetto più radicato nei suoi confronti è che sia solo una forma di “narcisismo camuffato”: siamo gentili perché ci gratifica, le persone gentili cercano solamente di soddisfare il proprio autocompiacimento.

Attorno a noi abbiamo davvero molti esempi di odio e di ostilità, sentimenti che ci rendono estranei uno con l’altro e mi domando se davvero questi sentimenti siano più funzionali per la nostra vita quotidiana di quelli che invece ci connettono realmente e profondamente.

Resta aperto il dibattito: la gentilezza è innata o appresa?

Tanti studi psicologici e sociologici sembrerebbero dimostrare che i bambini sembrano nati con una sorta di capacità di valutare la dirittura morale, che li orienta verso stimoli di natura prosociale e collaborativa.

Sembra addirittura che riconosciamo la giustizia prima ancora di saper parlare ed anche Charles Darwin rifiutava l’idea che l’umanità fosse egoista e sosteneva, nell’Origine dell’uomo (1871), che la gentilezza fosse un fattore chiave per il successo evolutivo dell’umanità.

Non vince, dunque, chi supera gli altri in una competizione, ma chi riesce a collaborare con i membri della propria comunità.

“Homo homini lupus” (L’uomo è lupo per l’altro uomo): l’industrializzazione, il “benessere” (di almeno una parte del mondo), un’indebolimento nelle risorse naturali, la pressione su competizione e produzione materiale, il depauperamento dell’ambiente naturale in cui viviamo e lo sviluppo prepotente dell’AI, sono tutti elementi che hanno incrementato lo sviluppo di atteggiamenti ostili tra gli essere umani.

La percezione generale è che ci sia un divario sempre più importante tra chi crede ancora nella capacità dell’uomo di essere gentile e compassionevole e chi lo ritiene ancora lupo, magari mascherato da agnello.

L’idea di molti è che la gentilezza non sia una virtù ma che sia un difetto, congenito o acquisito che sia, che ci espone all’infelicità e al fallimento.

Io non lo credo.

Credo però che vada nutrita, che vada educata e vada compresa.

La gentilezza non è una debolezza, non è ciò che accade quando metti da parte la tua identità, le tue esigenze, la tua identità. Non è una uno spazio in cui ti arrendi e rinunci a qualcosa, una sconfitta.

La gentilezza è espressione di interesse verso il mondo esterno, è un’apertura verso l’altro, verso se stessi.

In questo mondo che ci spinge sempre di più verso il “fare” anziché verso l’esistere, il nostro vero valore risiede nel nostro essere umani, come ci insegna Charlie Chaplin nel discorso finale del film “Il grande dittatore”

Essere gentili è importante, da un punto di vista personale e collettivo: aumenta i livelli di ossitocina e serotonina nel nostro cervello, ci consente di provare una sensazione di appagamento e di benessere generale.

La gentilezza ci permette di entrare in relazione con gli altri, gettare le basi per una società proattiva orientata al benessere collettivo.

La gentilezza è un atto di fiducia verso l’altro ed è una rivoluzione interiore nei confronti di noi stessi.

Alla domanda “perché dovrei?” direi allora perché la gentilezza fa bene, a me e agli altri.

Se le parole curano, la gentilezza può essere una vera medicina.

fonti:
– Frontespizio del libro Leviatano di Thomas Hobbes; incisione di Abraham Bosse (wikipedia)

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